Qualche dato sulla strategia napoleonica

Il concetto di strategia nel corso dei secoli ha subito una profonda evoluzione ed è quindi necessario cercare una definizione del termine nel contesto storico che vide all’opera il sistema napoleonico. Carl von Clausewitz, il grande filosofo e studioso dell’arte militare, nel “Della Guerra” definisce la strategia come: «…l’impiego del combattimento agli scopi della guerra. Essa deve dunque porre ad ogni atto bellico uno scopo immediato che possa condurre a quello finale. In altri termini, elabora il piano di guerra, collega allo scopo immediato predetto la serie delle operazioni che ad esso debbono condurre, e cioè progetta i piani delle campagne e ne coordina i singoli combattimenti.». Si era arrivati a questa formulazione osservando i tratti tipici dell’evoluzione della strategia nei due secoli precedenti. Nel Seicento i comandanti applicano una strategia di attrito, il cui fine è quello di logorare le forze del nemico senza compromettere le proprie. Una svolta viene imposta da Gustavo Adolfo re di Svezia, una delle piú complete menti militari di tutti i tempi, con il passaggio alla strategia di esaurimento, poi realizzata nella sua massima espressione nel Settecento da Federico II di Prussia: ciò che deve essere eroso sono la volontà e la capacità del nemico a resistere. Federico II rappresenta anche un punto di giunzione con Napoleone: «Sono le battaglie che decidono il destino di una Nazione» dice il re soldato e Napoleone riprende questo concetto sostenendo che nel corso di una campagna «…io vedo una sola cosa: e cioè la parte piú forte dell’esercito nemico. Io cerco di annientarla, pensando che le questioni meno importanti si sistemeranno da sole». Era nata la strategia di annientamento che, sistematizzata dagli studi di von Clausewitz e da quelli dello svizzero de Jomini, esercitò un’influenza enorme sul modo di fare la guerra fino quasi ai giorni nostri. In realtà, Napoleone era un istinto pratico e non teorico: egli non si occupò mai di elaborare un sistema, ma anzi fondava tutte le proprie azioni sull’imprevedibilità e l’anticonvenzionalità. Cruciale per lui, che combattè sempre contro forze superiori che spesso lo pressavano da piú lati, era arrivare sul campo di battaglia con un vantaggio sugli avversari: e nonostante questo vantaggio ogni battaglia fa storia a sè e non è mai vinta in partenza. La strategia napoleonica è comunque riconducibile a due schemi: in attacco operò con le manoeuvre sur les derriéres, in difesa con la posizione centrale. Il primo era il sistema che fruttò a Napoleone vittorie come quelle di Mondovì, Lodi, Arcole, Marengo, Jena, ma che vide il suo apice ad Ulm. Questa manovra consiste in una minaccia diretta alle retrovie nemiche attuata sfruttando la copertura fornita dagli ostacoli naturali dello scenario geografico nel quale si svolgeva di volta in volta la campagna: in Italia il Po, ad Ulm i monti del Giura e la Selva Nera. Mentre il nemico viene tenuto occupato da una azione dimostrativa frontale, operata da una quota minima di tutta l’armata, il grosso si muove al riparo dello schermo strategico – infittito eventualmente dalla cavalleria leggera – e dirige contro le spalle dei nemici. A movimento avvenuto questi sono costretti a combattere in condizioni di inferiorità, perché i loro rifornimenti sono tagliati e non hanno via di ritirata: la battaglia che ne consegue è già pesantemente condizionata. Con la posizione centrale, Napoleone inserisce la sua armata tra quelle nemiche, impedendo così che si riuniscano e permettendo a lui di sconfiggerle in sequenza: mentre un contingente secondario trattiene un esercito nemico, Napoleone affronta e vince il proprio diretto avversario, e quindi attacca immediatamente l’altro prima che abbia la meglio sulla sua forza di contenimento. A Montenotte l’espediente funzionò egregiamente, a Waterloo un po’ meno. Per confondere ed ingannare i nemici, ed anche per permettere movimenti rapidi ed un efficiente foraggiamento, Napoleone disperde le sue forze su un fronte molto ampio e le riunisce solo all’ultimo momento, concentrando rapidamente una forza decisiva in un punto critico dello schieramento nemico: la cosiddetta “concentrazione sul campo di battaglia”. Questo era possibile solo mediante quel miracolo logistico che consentì all’esercito francese di compiere 800 chilometri senza cadere a pezzi come fecero nella parte iniziale della campagna di Austerlitz: 200.000 uomini tennero per 5 settimane un’incredibile media giornaliera di marcia variante tra i 20 e i 25 chilometri.

In epoca napoleonica non esisteva un sistema metrico univoco, ogni paese ne aveva uno proprio e anche più d’uno:

  • un miglio autriaco corrispondeva a 7586,45 metri 
  • un miglio inglese (come oggi) a 1.609,31 metri 
  • una vesta russa a 1.076 metri una lega francese a 4.444,45 metri.